Non per cattiveria by Beatrice Benicchi

Non per cattiveria by Beatrice Benicchi

autore:Beatrice Benicchi [Benicchi,Beatrice]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Gramma Feltrinelli
pubblicato: 2024-09-03T00:00:00+00:00


“Così ti ho chiamato e ti ho chiesto di farmi da assistente. Ho pensato soltanto che era quello che voleva Marzio, capisci? Per lui mi avresti fatto bene. E lui ci teneva, al mio bene.”

“Mi dispiace.”

“Non importa.”

“Non eri mica obbligata a chiamarmi.”

“Lo so, però tu mi piaci.”

Karla continua a smuovere l’orlo delle lenzuola, poi allunga la mano verso il cassetto e prende un’altra caramella.

“Cosa speravi?”

“Che Marzio avesse ragione. Che insieme a qualcuno magari sarei riuscita a invertire la rotta.” Prova a sorridermi ma ha la guancia piena e sembra tutta storta.

Vorrei abbracciarla, ma finché continuo a mentire sento che non posso servire a un bel nulla. Dovrei andarmene, sì probabilmente dovrei, prima che sia troppo tardi.

Invece continuo a fissare dio e capisco che non posso essere triste davvero. Quella veramente triste è solo sua figlia, abbandonata sulla terra in cerca di chissà che.

“Karla, ti va se ci prendiamo qualcosa di fresco?”

Annuisce sfinita.

Così ci sediamo nel caffè dell’ospedale, siamo vestite troppo bene per non provare vergogna.

“Due americani, per favore.”

Il barista dice che non servono alcol, qua dentro.

“Due crodini?”

Il barista ci porta al tavolo due succhi e mentre li poggia ribadisce: “Questo è il bar dell’ospedale, lo sapete?”.

Karla fa scivolare gli occhiali da sole sulla punta del naso. “Ci porteresti anche due patatine? Grazie.”

Poi, come un vaso bucato, si svuota.

“La vuoi sentire la storia di Karla Kavalier o no?”

“Solo se è bella.”

Fa finta di alzarsi ma poi si risiede.

“Allora dimmi, Karla Kavalier, qual è la tua storia?”

Era nata a Zuce, nella campagna di Belgrado. Nonostante per tutti si possa andare a lungo e con divertimento indietro tra i rami della stirpe, l’unica di cui vuole parlare è sua madre.

“Si chiamava Alina. Quando penso alla mia infanzia rivedo solo lei, aveva diciannove anni quando mi ha partorita, sembrava una bimba ma era sempre arrabbiata e protettiva come i poveri, eravamo noi due a Zuce assieme ad altre trenta persone. La nostra casa era uguale a tutte le case di Zuce, ed era quella in fondo alla strada perché eravamo arrivate per ultime, credo. Ricordo mia madre e le galline ma non ricordo i bombardamenti, stando alle ricerche che ho fatto dovrei averne visti tanti, hanno schiacciato tutto, i paesi lontani e anche le uova e le sedie da noi. Ma non ricordo nemmeno il rumore. La guerra mi torna in mente solo quando parlo con Marzio, durante le nostre sedute d’ipnosi. Comunque questo non c’entra niente, anzi certo che c’entra, perché Marzio è mio padre. Mamma non me l’ha detto fin quando non si è ammalata, la guerra era finita e noi vivevamo in una stanza a Belgrado, sai che facevo io a Belgrado? La sarta assieme a mamma Alina. C’era la fila di clienti il sabato perché eravamo moderne, dicevano, avevamo lo stile di Parigi, ma a lei è venuta l’artrite e ha smesso di cucire per il dolore. Così un giorno mi ha detto che Marzio era mio padre. Mi ha giurato anche che non aveva visto nessun altro uomo in



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